La maggior parte di noi ha un rapporto un po’ contraddittorio e conflittuale con il tempo. A volte si vive nel ricordo di qualcosa che non c’è più, una nostalgia diffusa di un tempo andato dove ci sentivamo più sicuri, più spensierati, forse più amati. Magari gli anni dell’infanzia, il ricordo dei primi amori o il ricordo di qualche persona cara che è scomparsa dalla nostra vita, lasciando un vuoto, un piccolo buchino nel cuore che non si cicatrizzerà mai.
Si pensa, si sospira, si versa qualche lacrima, si ha il desiderio di tornare indietro da quegli affetti o da situazioni in cui eravamo più felici.
Poi c’è una nutrita schiera di persone che vive nel futuro. Si proietta, si lancia in avanti di un giorno, di una settimana, di mesi o addirittura di anni. Come quando eravamo piccoli e favoleggiavamo su “Quando sarò grande farò…”. L’insoddisfazione o la frustrazione possono aiutare ad attuare il meccanismo del sarò-dirò-farò, ci si vede in un punto imprecisato avanti negli anni e si spera che gli ostacoli e le difficoltà saranno evaporate, in un modo o nell’altro.
In tutti e due i casi il rischio che si corre è quello di rimanere bloccati, incatenati a un passato che non potrà più tornare o schiavi di un futuro che forse non verrà mai. Il presente è il momento più ignorato, lo si mette quasi in stand-by, lo si ignora. Eppure è l’unico tempo che davvero ci appartiene, l’unico tempo in cui le nostre azione contano nell’immediato.
Anche a me capita di fare il giochetto dei salti temporali, un po’ di nostalgia mi prende e vado indietro e un po’ di desiderio di sbloccare una situazione attuale di stallo mi fa andare avanti.
Poi mi rendo conto che oggi le cicale cantano, che sono innamorata, che adoro quello che faccio e che devo fare tesoro del passato per vivere nel mio presente e lottare tutti i giorni per farlo diventare un futuro sempre migliore.