Alcuni storni hanno fatto il nido sul tetto della villa di fronte alla mia.
Si danno tanto da fare mamma e papà uccello. Volano frenetici a prendere il cibo per i loro piccoli che li chiamano a gran voce, con i minuscoli becchi gialli spalancati.
Mentre passa il tempo, crescono alla velocità della luce e vogliono anche loro imparare a fare gli aviatori, stiracchiano le ali dalle piume nuove nuove, soffici soffici, fanno qualche passetto incerto verso la libertà e ci provano.
La Natura reclama il suo ciclo vitale, loro la assecondano con la purezza di un istinto che non si pone troppe domande.
Mentre me ne stavo tranquilla a godermi sul patio i raggi di sole e l’aria fresca, sento un baccano assurdo: una cornacchia ha rubato un piccolo storno, i genitori gridano disperati e impotenti, lo stesso fa lui (o lei), cercando la salvezza nei suoi gesti frenetici.
La cornacchia ha valutato male il mini storno, che non è di quelli implumi e piccolissimi, ma è un bell’uccellino di un certo peso.
Tant’è che cade dal becco della ladra e atterra stordito nel mio giardino. Mentre realizzo quello che è appena accaduto, Moki e Muffin, i miei due gatti killer, guardando sto povero uccellino che strepita, cominciando già a leccarsi i baffi.
Stavolta io sono più lesta e lo salvo ma il piccoletto non è molto collaborativo, anzi, si dimena come un disgraziato.
Avrà pensato: “Che giornata di merda, sottratto a forza dai miei genitori, sono stato quasi mangiato vivo prima da una cornacchia, poi da due brutti gattacci rognosi, e ora un’umana dalla faccia da pirla mi sta stritolando senza il mio consenso!”
Non potendo andare subito alla Lipu a consegnare il combattivo uccellino, decido di creargli un rifugio sul mio terrazzo, al riparo da predatori appiedati e alati.
Chiamo gli esperti che mi confermano che purtroppo, una volta che i genitori lo hanno visto volar via in bocca alla cornacchia, sarà impossibile per loro continuare ad accudirlo. Mi dicono di dargli da mangiare piccole palline di carne cruda ogni 4/5 ore e di farlo bere spesso.
Arisa, così ribattezzato il piccolo storno, mi fa capire subito di che pasta è fatta: nonostante un bel buco in testa fatto dalla cornacchia, nonostante lo shock e il trauma della caduta, io proprio non le piaccio e me lo dice in tutti i modi, beccandomi e urlando le sue validissime ragioni.
“Ma Arisa mia, qui se non mangi te ne vai al creatore, ti prego, stringiamo un accordo, una pace provvisoria. Non ti devo piacere per forza, almeno però deponi le armi per un pochino”, provo a contrattare.
Dopo quintali di cacca prodotta alla sola mia vista, urla da disperata e proteste convinte, Arisa decide che forse sta morendo di sete e magari è il caso di chiudere un occhio e farsi dare da bere dalla brutta e cattiva umana che la tiene carcerata.
Senza contare che la pancia brontola e allora dai, imboccami sciocca carceriera.
E Arisa mangia come un condor…
Morale della favola, dopo averla ingozzata, dissetata, coccolata e calmata, la piccoletta si è fatta una nottata di sonno profondo custodita e al calduccio e la mattina successiva, ritemprata come non pensavo potesse essere, è riuscita, contro ogni pronostico, a volare via verso la sua nuova vita, lanciandomi un “grazie” distratto mentre assaporava la sua meritata libertà conquistata con grinta e forza di volontà!