Questo post nasce come una sorta di corollario a un post che ho pubblicato tempo fa: ho 38 anni e non li dimostro.
Be’, non solo ho 38 anni e non li dimostro, ma non li sento nemmeno.
Che poi che vuol dire avere 38 anni, cosa implica di preciso?
Oddio, certo, ci sono responsabilità che a 7 anni magari non avevo, una maturità e un giudizio decisamente differenti rispetto alla me di 21 anni, questo è innegabile.
Ma poi?
Per caso rientrare nella categoria dei “grandi” implica per forza essere grigi? A volte pare di sì, pare che certe cose non dovrebbero più appartenerti passata una “certa” età.
Quasi siano sconvenienti, fuori luogo.
Però io non ci sto, ho una voglia incredibile di coltivare la bambina che è in me, quella bambina che dà nomi stupidi anche agli oggetti, quella bambina che fa le vocine sceme per far parlare gli animali, quella bambina che inventa storie stranissime e contorte e che fa sogni inauditi.
Anche se ogni tanto è una pazza scapigliata che corre e si sbuccia le ginocchia, anche se ogni tanto fa i capricci e batte i piedi a terra perché no, quella cosa proprio non le piace.
In compenso mi piace troppo il colore delle risate di quella bambina: sono azzurro cielo e giallo sole, sono verde bosco.
Le speranze di quella bambina sono dolci come il rumore lieve delle foglie accarezzate dal vento, spumeggianti come un’onda che va a sbattere su uno scoglio fiero.
E poi c’è quella leggerezza che la mia bambina riesce ancora a portarsi dietro, una leggerezza che profuma di torta al limone appena sfornata, sa di buono, sa di vita fresca.
È quel tipo di leggerezza che insieme alle risate e alle speranze rendono quella bimba così felice che sarebbe un vero peccato chiuderla a chiave nel passato.