A volte non ci si rende realmente conto di quanto la vita di ognuno di noi sia impercettibilmente legata a quella degli altri. Quanto effettivamente le azioni di una persona a noi sconosciuta possano cambiare, spesso con un semplice gesto, il corso della nostra esistenza, ponendo magari fine a essa.
Viene chiamato “Butterfly Effect”: si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altro lato del mondo. Una singola azione può quindi determinare imprevedibilmente il futuro. O per dirla in termini scientifici, la Teoria del caos.
Di questo si rese conto Eva una splendida mattina d’estate, quando il sole scaldava il suo viso e i progetti per il futuro affollavano la sua mente.
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Andrea aveva deciso di smettere. Bere lo stava portando alla rovina, la sua ragazza lo aveva lasciato. Si era assentato dal lavoro per due settimane di seguito e di questo passo sarebbe stato sicuramente licenziato, il suo capo era stato fin troppo paziente con lui.
Aveva perduto la stima dei suoi genitori che ormai lo vedevano solo come un alcolizzato senza futuro, ciò che in effetti attualmente era. E tutto questo perché era cominciato? Per una stupida promozione.
Il suo capo aveva promosso il suo collega e non lui. Tra l’altro, a pensarci bene, l’avanzamento di Sandro era più che meritato: suoi erano gli straordinari, suoi gli articoli migliori, sue le idee innovative per rinnovare il look del giornale e suo il duro lavoro che lo portava a stare in ufficio fino alle otto, ogni sera.
Lui che cosa aveva fatto dal canto suo? Niente, era stato ordinario, uno come tanti altri.
La mattina arrivava alle nove né un minuto prima né uno dopo, la sera usciva alle cinque né un minuto prima né un minuto dopo. Eseguiva diligentemente gli articoli che gli assegnava il capo, senza apportare in questi nulla della sua personalità, nessuna idea rivoluzionaria, né stacanovismo o dedizione particolare verso i suoi compiti.
Solo semplice e banale mediocrità. Perché tanta meraviglia quindi per non essere stato promosso? In cosa aveva riposto fiducia, nel suo faccino simpatico? Così, una sera, aveva deciso di attaccarsi a una bottiglia di whisky, per gioco.
E ci aveva preso gusto.
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Eva era al settimo cielo, appena laureata con centodieci e lode in medicina il prossimo semestre avrebbe cominciato la specializzazione in chirurgia cardio-toracica. Ora si sarebbe goduta le meritate vacanze estive, quello che desiderava era solo riposo e tranquillità data la vita frenetica che aveva dovuto sostenere negli ultimi anni per poter raggiungere i suoi obiettivi.
La partenza era vicina, due giorni la separavano dal viaggio in Sardegna con le sue due più care amiche con cui aveva condiviso praticamente ogni cosa, dalla spensieratezza dell’asilo fino alle sofferenze e le soddisfazione del suo percorso universitario.
Era quasi tutto pronto, quella mattina Eva era uscita per completare le ultime spese prima di chiudere la valigia: un costume, un solare e un buon libro da portare sotto l’ombrellone.
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Questa era decisamente la mattina sbagliata per smettere di bere.
Avrebbe cominciato da domani, adesso ad Andrea serviva un goccetto per affrontare Martina, la sua fidanzata o meglio la sua ex. Sarebbe passata da casa per prendere tutti i suoi vestiti e altri oggetti personali che aveva dimenticato; lei gli aveva chiesto di non farsi trovare, per rendere le cose più semplici, diceva.
Più semplici per chi? Certo non per Andrea che da quando Martina lo aveva abbandonato non aveva avuto più notizie da parte sua. Se n’era andata e basta, senza lasciare né un biglietto né fargli una telefonata anche solo per dirgli “addio, ti mollo perché sei un fallito”.
Avrebbe preferito questo al nulla, all’indifferenza che lei gli aveva scagliato contro, come se i sei anni insieme non avessero significato niente, come se tutte le promesse che si erano fatti, tutti i sogni che avevano condiviso, fossero stati solo una grande bugia che si erano raccontati l’un l’altra, nell’attesa che qualcosa mettesse la parola fine alla loro storia.
E questo era quello che aveva fatto l’alcool, aveva letteralmente stracciato i tanti capitoli della vita di Andrea e ora c’era l’ultima parte da affrontare, l’epilogo.
Mai come in questo caso la fine sarebbe stata tanto decisiva.
Non solo per lui.
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«Eva, tu hai seri problemi con la puntualità», la sua amica Giulia la stava rimproverando come al solito.
«Non capisco come, in tanti anni, ancora non ti sei rassegnata. Eva è fatta così prendere o lasciare», disse bonaria Claudia.
«Scusate… e grazie Claudia», le strizzò l’occhio.
Eva era una ritardataria cronica, ce la metteva tutta per essere puntuale, si preparava ore prima di uscire, ma straordinariamente accadeva sempre qualche imprevisto che le impediva, in un modo o nell’altro, di rispettare la tabella di marcia che si era prefissata.
Era tanto metodica e precisa nello studio, quanto caotica e disorganizzata nella vita di tutti i giorni. Questa cosa faceva imbestialire da sempre Giulia, fissata com’era con l’ordine e la puntualità, mentre Claudia, dolce e paziente, accettava tutte le sfaccettature del suo carattere e di quello di Giulia, facendo sempre da mediatrice tra le due. Forse era questo il segreto della loro eterna amicizia, l’una compensava i difetti dell’altra e insieme trovavano un equilibro che le rendeva indivisibili ormai da vent’anni.
Avevano appuntamento per fare l’ultimo giro di shopping prima della partenza.
«Dove vogliamo andare, prima in libreria o a comprare i costumi?», chiese Eva alle sue amiche.
«Prima andiamoci a provare i costumi e poi con calma ci tuffiamo in libreria, sapete che io ci metto una vita a scegliere un libro», le rispose Giulia.
Tra una risata e un pettegolezzo, leggere come le ali di una farfalla, girarono tutti i negozi del centro immaginando quanto sarebbero state fantastiche le loro vacanze, progettando serate, gite e conquiste.
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«Tu cosa ci fai qui?», disse acida Martina.
Andrea aveva immaginato una sua reazione contrariata e di questo ne era stato contento.
Farla arrabbiare sarebbe stato molto divertente, una piccola soddisfazione, infantile certamente, ma pur sempre una soddisfazione. Per tutta risposta lui le restituì un gestaccio, cosa che fece stizzire ancora di più Martina.
«Andrea sei davvero disgustoso, sono solo le dieci e l’odore di whisky arriva fin qui», c’era disprezzo nella sua voce.
«Che poi devo ancora capire perché, cara la mia fidanzata», le disse Andrea biascicando.
«Perché? Davvero te lo devo dire? Non è abbastanza chiaro?», gli rispose indicandolo con la mano.
«Non è poi così chiaro come credi, sai Martina?».
«Ah no? Allora da dove vuoi che cominci? Vediamo, be’ non voglio essere scontata dicendoti che sono scappata lontano da te perché sei diventato un ubriacone senza speranze», la voce di Martina tagliava come un rasoio.
Andrea non aveva immaginato tutto questo rancore da parte sua, per un istante quasi si pentì di essere rimasto a casa ad aspettarla, di averle chiesto il perché.
Forse non avrebbe voluto sentirlo davvero.
«Che c’è, perché fai quella faccia? D’un tratto non sei più curioso? Adesso mi starai a sentire invece», sibilò feroce Martina, «avevo investito tanto nella nostra storia, tutto. Per questo non ho battuto ciglio quando mi hai chiesto di rinunciare al trasferimento e con quello alla promozione. Mi era sembrato un giusto sacrificio per mantenere stabile la nostra relazione, un do ut des per costruire quella famiglia che avevo sempre desiderato. Pensavo che ci saremmo sposati, che avremmo avuto dei figli, ingrandito la casa. Il mio quadro familiare era perfetto. Peccato che non mi sia resa conto prima che c’era qualcosa di sbagliato in te, qualcosa di profondo».
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«Pensi che lo metterai mai quel costume? Non è da te un simile azzardo Claudia», Eva scrutò perplessa il micro bikini indossato dalla sua amica.
«Ogni tanto bisogna pur cambiare, rinnovarsi, no?», le rispose lei disinvolta.
«Rinnovarsi sì, stravolgere la propria indole un po’ meno», constatò Giulia.
«Al limite non me lo metterò mai», borbottò di rimando.
Il tour dei costumi era durato più di due ore, Claudia era stata la più indecisa di tutte.
Era stufa dei soliti interi castigati, che si autoimponeva per via del suo grande complesso fisico, era convinta di avere fianchi sproporzionati e ogni volta si comprava dei costumi talmente fascianti che, se fosse andata in spiaggia con bermuda e canottiera, sarebbe stata più scoperta.
Questa volta però aveva adocchiato un bikini mozzafiato e, alla faccia dei suoi complessi, lo aveva acquistato spendendo una follia, consapevole lei per prima che probabilmente non lo avrebbe mai indossato.
Le sue amiche avevano tentato di dissuaderla, non perché avallassero la sua teoria dei fianchi larghi, ma perché, conoscendola perfettamente, volevano evitare di farle comprare una cosa che mai e poi mai si sarebbe messa.
Ma Claudia per quell’estate aveva un nuovo motto: “mai dire mai” e quel bikini era una sorta di feticcio che le avrebbe permesso di perseguire la sua nuova filosofia.
«Dove andiamo a pranzo?», chiese Eva affamata.
«Io devo rispettare la dieta, sennò mi sballa il conto delle calorie», precisò Giulia.
Eva sorrise alla sua amica, fissata con il conteggio delle calorie, patita di diete di ogni genere e sport estremi, era la più atletica delle tre. Lei, dal canto suo, era troppo pigra e svogliata per riuscire a seguire un qualsiasi tipo di dieta o un minimo di rigore alimentare.
Invogliata da Giulia cominciava con lei per poi lasciarsi andare dopo i primi tre giorni, ingerendo tutti i tipi di cibo vietati nelle varie liste.
La sua alimentazione rispecchiava la sua personalità, era caotica anche in quello. Per esempio dopo aver mangiato una fetta di torta o una barretta di cioccolato, doveva necessariamente mangiare qualcosa di salato tipo delle olive o qualche patatina.
Faceva degli abbinamenti culinari improponibili che trovava gustosi solo lei, non aveva orari, quando il suo stomaco reclamava, lei lo accontentava. Fortunatamente poteva vantare un metabolismo super-efficiente che, nonostante gli stravizi e le stranezze alimentari, la manteneva sempre magra e asciutta.
«Dove vorresti andare?», Claudia era la più accondiscendente.
«Se non vi dispiace andrei in quel locale sulla piazza dove fanno tutte quelle insalate buone», propose Giulia.
«Per me non ci sono problemi, andiamo dove vi pare, basta che mangio qualcosa», disse Eva.
Dopo pranzo si sarebbero tuffate in libreria, tra tutte e tre non si sapeva chi fosse la più avida di libri, ne avevano un’infinità e di ogni genere. Eva voleva un libro spensierato, poi un buon thriller e se lo avesse trovato uno stupendo manuale di medicina che aveva sempre desiderato.
Non vedeva l’ora di partire, ma anche di tornare e cominciare la specializzazione, tutti i suoi sogni si erano avverati, era talmente felice che a volte non le pareva nemmeno vero di essere arrivata fino a quel punto, di aver avuto la forza di tener duro in tutti quei momenti in cui lo sconforto sembrava dover prendere il sopravvento.
Si sentiva una ragazza molto fortunata sotto molti punti di vista, nulla avrebbe potuto turbare tutta quella felicità.
O almeno lei così credeva.
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Qualcosa di sbagliato in lui?
E perché mai ci sarebbe dovuto essere qualcosa di sbagliato proprio in lui e non in lei? Brutta presuntuosa arrogante, aveva fatto bene ad andarsene, dopotutto.
«Sai quando me ne sono accorta?», chiese Martina ad Andrea continuando senza aspettare una sua risposta, «quella sera a cena, quando ti ho comunicato che avevo rinunciato a partire. Credevo che ne saresti stato entusiasta, dato che eri stato tu stesso a chiedermelo e invece tu cosa mi hai detto? Hai detto: “Meglio per te”».
Andrea non ricordava affatto quella conversazione, non gli sembrava proprio di aver detto una cosa del genere a Martina, fra l’altro in quel periodo era ancora sobrio.
Si doveva essere inventata quel particolare per farlo sentire in colpa, per giustificarsi. O forse aveva dato un significato sbagliato a una sua battuta, facendo una tragedia per nulla, come spesso fanno le donne.
«Mi sono spaventata più per il tono con cui me lo hai detto», continuò lei, «suonava quasi come una minaccia sai? E poi i tuoi occhi erano così strani, vuoti, freddi. Era sbagliato, tu eri sbagliato in quel momento, non sembravi nemmeno la stessa persona».
Martina doveva essere pazza, non c’erano altre spiegazioni, addirittura adesso lo stava accusando di avere una specie di doppia personalità, assurdo!
«Si può sapere cosa cavolo stai dicendo?», fu tutto quello che uscì dalla sua bocca impastata.
«Quello che mi hai chiesto sto dicendo e ho solo cominciato», replicò lei dura come la pietra. «Ho archiviato la faccenda come un tuo momento di stanchezza, non ci ho voluto più pensare. Poi è accaduto nuovamente. Era una splendida giornata e avevamo deciso di andare al mare, mi avevi pregato di guidare perché ti bruciavano gli occhi per colpa della tua solita allergia. Quando siamo arrivati c’era un’infinità di gente e faticavamo a trovare parcheggio, così ti ho fatto scendere davanti allo stabilimento per scaricare le nostre cose e andare a trovare un ombrellone libero, ricordi?».
Andrea fece un cenno d’assenso col capo.
«Dopo dieci minuti ti ho raggiunto e abbiamo passato la giornata in spiaggia. Eri così tranquillo e rilassato, siamo stati bene», per un istante la sua voce s’incrinò quasi stesse per cedere alle lacrime, ma subito riprese il controllo.
«A fine giornata, siamo andati a riprendere la macchina e io non mi ricordavo più dove l’avessi parcheggiata», fece una pausa.
Ad Andrea venne automatico sorridere, Martina era sempre stata sbadata, questa cosa le accadeva spesso.
«Addirittura ti viene da ridere?», disse lei schifata.
Perché non avrebbe dovuto? Comprendeva sempre meno, ma lei continuò a vomitare parole.
«Ti sei girato verso di me e ancora una volta ho visto quegli occhi», rabbrividì al ricordo, «eri nuovamente e improvvisamente cambiato. “Che vuol dire che non ti ricordi dove l’hai messa?”, mi dicesti con un tono talmente gelido che sembrava qualcosa di soprannaturale. Io cercai di sdrammatizzare e tu, infuriato, hai alzato la mano e mi hai dato un sonoro ceffone sulla faccia».
Andrea era sempre più confuso, ora però il whisky non c’entrava nulla.
«Hai voglia di scherzare spero?», balbettò lui.
«Purtroppo no», disse lei lapidaria.
«Io ti avrei picchiata? IO?», era totalmente incredulo, di quell’accaduto lui non ne aveva il minimo ricordo.
«Immaginavo che non lo avresti ricordato, perché cambiavi completamente. Cambiava la tua voce, il tuo viso, la tua figura sembrava quasi distorta come se i miei occhi facessero difficoltà a metterti bene a fuoco. Il secondo dopo tornavi perfettamente normale, nitido. Come se nulla fosse accaduto, addirittura mi sorridevi dolcemente», le uscì una risata isterica.
«Non capisco», farfugliò Andrea quasi più a se stesso che a Martina.
«Da quel giorno ho cominciato ad avere paura. Paura di te, capisci? Questi episodi strani si sono ripetuti altre due volte e anche in quelle due occasioni mi hai picchiata, ogni volta in maniera sempre più violenta. Però il grande amore per te ancora superava la paura, che sempre di più alimentavi con i tuoi cambiamenti repentini e impossibili da prevedere. Poi è successo l’irreparabile, hai cominciato a bere e l’alcool ti deve aver dato la spinta definitiva e tu sei caduto, giù, sempre più giù. E volevi trascinare anche me assieme a te».
«Io non ricordo, non ricordo», Andrea si mise le mani tra i capelli, la testa gli pulsava con violenza.
«Da quando hai cominciato a bere, questi sdoppiamenti sono diventati quotidiani. Non c’era giorno che non fossi violento e aggressivo, finché non hai superato il limite», Martina tremava.
Anche Andrea cominciava a spaventarsi, era come se un enorme buco nero avesse inghiottito mesi interi della sua vita e l’alcool, a quanto sembrava, ne era responsabile in minima parte.
Lentamente e con fatica la ragazza si levò la maglia leggera.
Solo in quell’istante Andrea si rese conto che lei indossava una maglietta a maniche lunghe nonostante i trentatré gradi di quella giornata.
E allora vide.
Non c’era un solo punto in cui la pelle di Martina non fosse emaciata e livida, era impressionante. Lacrime pesanti cominciarono a rotolare sulle guance della sua fidanzata.
«Una sera sei tornato dall’ufficio, eri stanco e avvilito, mai come quella volta mi sei apparso tanto fragile e innocuo. Io avevo già deciso di andarmene, stavo aspettando solo il momento giusto, avevo paura di fare anche solo il minimo gesto sbagliato, il gesto che sarebbe riuscito a svegliare quella cosa dentro di te».
Andrea rimase molto colpito per il modo in cui Martina pronunciò la parola “cosa”, dall’enfasi che le aveva dato pareva davvero convinta che ci fosse qualcosa di alieno dentro di lui.
«Sembravi piuttosto tranquillo, rassegnato quasi. Così ho abbassato per un momento la guardia. Mi è scivolato un piatto nel lavandino e si è rotto. E la cosa si è svegliata. Sei diventato sfocato come al solito, quella volta più del solito, i tuoi occhi erano un abisso senza ritorno, il tuo respiro un sibilo. Ho temuto per la mia vita come mai prima d’allora. Ti sei alzato dalla sedia e l’hai stretta tra le mani e ti sei scagliato su di me con tutte le tue forze», a quel punto Martina cominciò a singhiozzare violentemente.
Ad Andrea venne istintivo avvicinarsi a lei per abbracciarla, per confortarla.
«Non ti avvicinare!», urlò con rabbia Martina tirando fuori dalla borsa una pistola. «Questa volta giuro che ti ammazzo brutto bastardo. Esci, esci da lui se hai il coraggio».
Martina delirava.
La vista della pistola fece raggelare Andrea, mentre arretrava spaventato per la reazione fuori controllo della sua ex, sentì una strana sensazione farsi strada dalle profondità del suo stomaco, quasi un crampo unito a un conato.
Un potente rigurgito di collera, collera viva e potente che gli salì fin sulla bocca.
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Eva e le sue amiche aspettavano alla fermata l’autobus che le avrebbe portate vicino al ristorante che aveva proposto Giulia. Era un po’ distante rispetto al punto in cui si trovavano e a nessuna di loro andava più di camminare, inoltre erano le undici passate e Giulia pretendeva di stare a tavola non oltre le dodici e trenta, dato che lei sosteneva che quello fosse l’orario più adatto per consentire allo stomaco una corretta digestione.
«Ragazze, aspettate un attimo», disse a un certo punto Claudia.
«Che c’è?», le domandò Giulia con una punta d’insofferenza.
«Ci avrei riflettuto, credo che forse avete ragione», disse imbarazzata.
«Su cosa?», chiese Eva.
«Sul costume. Non lo metterò mai ed è un peccato buttare tutti quei soldi», ammise.
«Allora torniamo indietro a restituirlo. Dai, il negozio è a venti metri dalla fermata, ci vorrà un minuto», le disse Eva.
«Non ci potevi pensare prima?». Giulia, come sempre poco paziente, la rimproverò.
«Eva, io mi vergogno di tornare in quel negozio», disse mortificata Claudia abbassando lo sguardo.
«Su, dammi la busta, ci penso io», si offrì Eva.
«Grazie», le rispose Claudia.
«Sbrigati», borbottò Giulia.
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Questa volta sentì il cambiamento in maniera chiara e precisa.
Qualcosa di potente e diabolico e vivo gli strisciava nelle viscere, con i suoi lunghi tentacoli aveva preso possesso del suo corpo, della sua volontà.
Non fece nulla per contrastarlo, anzi. Si crogiolò in quella sensazione velenosa che gli invadeva la mente, lo alimentò lui stesso aggiungendo pensieri così cattivi da far paura alle tenebre stesse.
L’odio lambiva ogni angolo della sua pelle, si sentiva forte, potente, invincibile.
Martina urlò con tutta la voce che aveva a disposizione ma il suo corpo irrigidito dal terrore non si mosse.
Con un gesto veloce Andrea e la cosa, fatta di rabbia e odio, levarono la pistola dalle mani tremanti di Martina. Dita di ferro si strinsero intorno al collo della povera ragazza che tentò inutilmente di divincolarsi e, come se fosse stata una piuma, venne scagliata con violenza contro il muro.
Andrea guardò la pistola e un sorriso che assomigliava a un ghigno distorse la sua bocca. Era giunto il momento di vendicarsi.
Vendicarsi del suo collega Sandro che aveva avuto la promozione al suo posto, del suo capo che lo aveva ingiustamente penalizzato dandogli gli articoli meno interessanti, dei suoi genitori che lo avrebbero dovuto aiutare e non allontanare, di tutta la gente che si era presa gioco di lui, ridendogli in faccia e scansandolo solo per qualche bicchiere di troppo.
Con questi pensieri, ubriaco di whisky e di follia, prese le chiavi della macchina e uscì pronto a compiere la sua versione di giustizia.
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«Aspettatemi qui, faccio in un lampo», comunicò Eva alle amiche.
«Se non ti rendono i soldi, cambiami il costume con quella borsa che mi piaceva tanto», le urlò Claudia.
Eva le fece un cenno di assenso.
«Spero solo che nel frattempo non passi l’autobus», annunciò Giulia polemica, mentre guardava Eva allontanarsi di corsa verso il negozio.
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Scendendo le scale come una furia travolse il suo vicino di casa che perse l’equilibrio e cadde, facendo rotolare in terra le buste della spesa che portava.
«Maledizione, ma sei impazzito?», ringhiò questo.
Andrea si bloccò di colpo.
Guardò l’uomo che aveva fatto cadere, che ora osava inveire contro di lui dandogli del pazzo.
Estrasse allora la pistola.
Il colpo riecheggiò per tutto il palazzo.
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Eva entrò nel negozio e con molta gentilezza spiegò alla commessa il problema.
La ragazza, che si ricordava perfettamente di loro, non fece questioni.
Controllò che il costume avesse ancora l’etichetta intatta, esaminò lo scontrino e restituì a Eva i soldi di Claudia.
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Andrea mise in moto la macchina e a tutta velocità si diresse in centro, alla redazione del giornale.
Avrebbe cominciato a fare pulizia da lì.
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Contenta di aver recuperato i soldi, Eva corse verso la fermata, dove l’aspettavano le sue amiche. Sperava che nel frattempo non fosse passato il loro autobus, altrimenti lei e Claudia avrebbero dovuto subire le lamentele di Giulia per l’intero il pomeriggio.
Le due ragazze intanto tenevano d’occhio la strada, aspettando il ritorno della loro amica.
La videro uscire dal negozio cinque minuti dopo e dirigersi velocemente verso la fermata. L’autobus non era ancora arrivato. Eva attraversò la strada.
Avvenne tutto così velocemente che i tempi di reazione della ragazza non furono sufficienti a farle evitare l’impatto.
Fuori controllo, a velocità sostenuta, la macchina con Andrea alla guida tamponò con violenza inaudita l’autobus, che nel frattempo stava raggiungendo la fermata.
L’auto di Andrea, carambolando, si andò a schiantare contro un palo della luce mentre l’urto potente con l’autobus fece perdere all’autista il controllo del mezzo, facendolo sbandare.
«Eva!», le urla disperate di Claudia e Giulia furono coperte dall’assordante rumore dell’incidente.
A Eva sembrò che un muro di cemento le si fosse abbattuto addosso, sentì un dolore affilato come una lama di ghiaccio diffondersi per tutto il corpo.
Vide il sole alto nel cielo e sentì il canto allegro di un pettirosso.
Dentro la macchina, che si era schiantata contro il palo, Andrea e la cosa respiravano ancora.
Eva pensò al mare della Sardegna, al costume di Claudia, che si sarebbero dovute sbrigare o altrimenti Giulia non avrebbe fatto in tempo a stare a tavola per le dodici e trenta e… che peccato! Non avrebbe mai potuto acquistare quel manuale di medicina che aveva sempre desiderato.
Come una lampadina fulminata, la luce dagli occhi di Eva si spense, il futuro si cancellò.
In un battito d’ali.
Un racconto di Eleonora Della Gatta
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