Dovevo finire di leggerlo. A tutti i costi.
Il mio sabato pomeriggio è stato quindi monopolizzato dal thriller d’esordio di Claire Douglas: Le sorelle.
La trama, in breve: in un incidente d’auto, Lucy Cavendish perde la vita a soli ventotto anni. Alla guida c’era sua sorella gemella, Abi, che da quel giorno porta cuciti addosso, come un pesante cilicio, i sensi di colpa che, man mano, la logorano fino a farla finire in un ospedale psichiatrico dopo un tentato suicidio.
Nel tentativo di risalire dall’abisso in cui è precipitata, Abi si trasferisce a Bath, piovosa cittadina del Somerset. Lontana da quella Londra che l’aveva vista felice con la sua gemella e i loro amici in comune ma mai lontana dal ricordo di Lucy che diventa ossessione, perché Abi rivede (cerca) il volto della sorella in tutte le donne che, anche lontanamente, le somigliano.
Fin quando un giorno si imbatte in Beatrice, spumeggiante artista che crea gioielli, e che sembra la copia di Lucy sia per l’estrema somiglianza fisica, sia per il carattere fresco e solare.
Tra Abi e Bea è subito feeling, tanto che l’artista la invita a una sua mostra e in quest’occasione Abi scoprirà che anche Bea ha un gemello: l’affascinante Ben, da cui è subito attratta.
Bea, scorgendo la fragilità della giovane donna, convince Abi a trasferirsi a casa con lei, Ben e altri amici artisti. Da questo momento cominciano ad accadere strani episodi a cui Abi non riesce a dare una spiegazione: oggetti che scompaiono, cose fuori posto, foto inquietanti.
È lei che sta impazzendo (di nuovo) o c’è davvero qualcosa che non va in Beatrice?
Questo romanzo fa dubitare, nel senso che a un certo punto il lettore, invece che avere chiare le idee su quanto stia avvenendo, si trova abilmente spiazzato e comincia a sospettare di tutti (e nel mio caso, di tutti tranne che del colpevole).
Se un libro ha il potere di tenermi impegnata e attrarmi come un canto di sirena affinché ne finisca la lettura, ha vinto a prescindere.
Anche se il finale (ovviamente non faccio spoiler di alcun tipo) non mi ha soddisfatta al 100%, anche se l’incipit non mi ha trascinata immediatamente dentro la storia, ma ha fatto traballare la mia attenzione per una buona sessantina di pagine.
Eppure la mia recensione è positiva perché questo romanzo – un thriller prettamente psicologico – ha tutto ciò che una lettura d’evasione deve possedere: ritmo, personaggi di un certo spessore psicologico, ambientazione sempre presente e parte integrante della storia, coerenza, tenuta dell’intreccio, forza comunicativa e capacità di tenere buona compagnia al suo lettore.
Questo libro (e non lo riscontro in tutti i romanzi, anzi) ha anche un suo profumo, e non intendo quello della carta, ma quando un autore è così abile nelle descrizioni d’insieme, nel presentare il palcoscenico in cui i suoi protagonisti si muovono, nel dare quegli input olfattivi che ti fanno percepire odori/puzze della storia… ecco, il libro ha un suo profumo: che è in questo caso l’odore di violetta del bucato di Beatrice, l’odore del parco bagnato di pioggia, l’odore della nebbia inglese, l’odore di uno shampoo alla mela.
Concludendo mi sento di consigliare Le sorelle a chi ha voglia di stare sulle spine, a chi ha voglia di passare delle ore in compagnia della psiche di personaggi complicati e ossessivi spesso cupi e ingombranti, a chi ha voglia di una lettura che trascina come la piena di un fiume.
L’incipit:
“La vedo ovunque. Dietro la vetrina del ristorante italiano all’angolo con la mia via. Regge un bicchiere di vino, qualcosa di frizzante, forse un prosecco, e ride di cuore, con la testa riversa all’indietro, gli occhi strizzati e il caschetto biondo a incorniciarle il viso a cuore. Sul ciglio della strada, con la sua amatissima borsa marrone che le pende dal braccio, si mordicchia il labbro inferiore mentre aspetta paziente l’attimo giusto per attraversare. La vedo che corre per non perdere l’autobus; indossa jeans attillati, ai piedi dei sandali neri e in testa un paio di occhiali da sole per tenere a bada i capelli arruffati. Ogni volta, le corro incontro, sbracciandomi per attirare la sua attenzione, perché in quella frazione di secondo dimentico tutto. In quel brevissimo istante lei è ancora viva. Poi, però, il ricordo di ciò che è accaduto mi travolge e mi sommerge con uno tsunami di emozioni. Allora mi rendo conto che non è lei, che non può essere lei. Lucy è ovunque e da nessuna parte. È questa la realtà. E io non la rivedrò mai più”.