La mitologia greca mi ha sempre affascinata molto. Fonte inesauribile di miti e credenze su cui tutta la cultura dei secoli a venire ha attinto a piene mani, rimodellando, plasmando, variando i concetti di base coniati da Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide e compagnia bella.
Miti suggestivi come la storia tragica di Edipo, la furia di Medea tradita da Giasone, le gesta di Ulisse, la vendetta di Oreste su Clitennestra. E poi maghe crudeli, sacrifici rituali, assassinii, intrighi di palazzo, congiure e spargimenti di sangue che Dario Argento scansate! Giorni fa, durante una conversazione con un conoscente, mi è venuto in mente proprio la leggenda del supplizio di Tantalo.
Tantalo, re della Lidia, era un semidio figlio di Zeus che un giorno si macchiò di un grave peccato: rubare alla mensa degli dei il nettare e l’ambrosia, fonti dell’immortalità, suscitando l’ira di questi ultimi.
Fu – ovviamente – punito per questo sacrilegio e, spedito nell’Ade. Qui, venne legato a un albero ricco di frutti di ogni genere, immerso fino al mento in un lago di acqua fresca e cristallina. Non appena Tantalo avvicinava le mani per mangiare o cercava di bere, i rami carichi di frutti si allontanavano mentre le acque del lago si prosciugavano.

Nel modo di dire comune il “Supplizio di Tantalo” si usa per definire lo stato d’animo di qualcuno che desidera ardentemente una cosa, ma non la può avere.
E qui troniamo alla conversazione con il conoscente che mi ha fatto sovvenire questa leggenda, grande classico della mitologia greca. Quest’uomo è riuscito a farmi venire il latte alle ginocchia perché il suo discorso, pesante come il piombo, era tutto fatto di condizionali infiniti: “vorrei, direi, farei”… e nulla di quello che bramava sembrava irrealizzabile. Mi è parsa, a un certo punto, una di quelle persone che si creano degli alibi per paura di concretizzare cose che credono di desiderare ardentemente.
Stanno lì a piangersi addosso, senza però fare nulla per cambiare la loro situazione.
Non parlo di sogni irraggiungibili, ma di cose fattibili con un minimo di buona volontà e un briciolo di dignità e amor proprio in più. Invece no, molto meglio stare fermi fermi a disperarsi, possibilmente ammorbando il prossimo con attacchi di logorrea acuta e lagnanze inutili.

Sarò intransigente forse, ma queste cose non le tollero. Ho conosciuto persone rimboccarsi le maniche in situazioni che dire complicate è poco. Persone trovare la voglia di tornare a sorridere dopo essere passate attraverso a una tormenta di dolore. Persone che lottano ogni giorno per migliorarsi e rendere migliore anche l’ambiente in cui vivono.
Quando sento questi piagnistei per bazzecole paragonabili alla rottura di un’unghia, quando mi accorgo dell’apatia distruttiva di certe persone che non si limitano a vegetare, ma sono talmente patetiche e subdole da desiderare un tuo fallimento per sentirsi meno falliti, be’, il sangue mi ribolle nelle vene.

Se io non ci riesco non ci devi riuscire nemmeno tu. Se ci sei riuscita è solo perché sei stata fortunata/raccomandata, io sono un genio incompreso, ecco, questo è il loro pensiero da quattro soldi. Vorrebbero ardentemente ma non solo non possono come Tantalo (qui l’attualità della mitologia greca) ma nemmeno s’impegnano.
Vorrebbero e si rendono conto di non essere in grado e allora fingono impedimenti fantasiosi. Come il lago che si prosciuga e i rami che si ritirano. Tutto pur di non assumersi responsabilità.
Se conoscete tizi del genere, anche se è un gesto apotropaico poco chic, grattatevi, perché sono giunta alla conclusione che portano iella!