«Mamma, voglio quella Barbie!», dicevo io quando ero nemmeno decenne.
«Sai come mi diceva tua nonna?», mi rispondeva allora la mia saggia mamma, con estrema calma.
Io scuotevo il capino e aspettavo di sentire l’oracolo che sarebbe arrivato di lì a breve.
«L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del Re, capito?».
Io ci pensavo un po’ su, mi accigliavo, mi sforzavo, ma ancora mi sfuggiva qualcosa.
La mia paziente mamy, poi, vedendo la mia manifesta perplessità, mi spiegava.

«Non si dice voglio, semmai vorrei, voglio è una pretesa ed è maleducazione, vorrei è una richiesta, ed è lecita… E però ricorda, se mamma ti dice no, è no».
Punto. Nessuna replica concessa.
Io annuivo con foga, sfoggiavo il mio “vorrei” nuovo di zecca con vocina al miele, zuccherosa, e speravo con tutta me stessa che non mi arrivasse quel no, che era proprio no e non rompere-stai-muta!
Questione di educazione grammaticale, quando i genitori, invece di permettere al pargoletto di frignare a oltranza, avevano la voglia, il tempo e il buonsenso di crescere personcine a modo al posto di nani urlanti che pretendono, che non sono in grado di stare al loro posto e che rispondono anche male.
La favola racconta di un re che diceva, sempre, voglio e mai per favore.
Fino a quando non incontrò un’erba che di mettere i propri fiorellini gialli, una volta piantata nel giardino reale, non ne voleva sapere.
Allora il re iniziò a chiedere all’erba – per favore – di far sbocciare i propri fiori e l’erba lo fece.
Attraverso questa favola ci viene insegnato a chiedere le cose con buone maniere, a dire “per favore”, “grazie”, “vorrei”, “potrei avere” e molto altro.